“ Poiché l’essere umano è come un albero del campo”
(Deuteronomio 20,19)
Con il mese di Novembre si sancisce l’inizio di quel periodo dell’anno in cui le giornate diventano sempre più corte, le attività sociali e all’aperto diminuiscono, le luci sono sempre più fievoli intorno a noi e, inevitabilmente, spostiamo lo sguardo da fuori a dentro.
Questo processo ha la sua massima espressione nel mese di Dicembre.
Anche se un po’ ermeticamente, questo ciclo è descritto in tutte le principali correnti mistiche paragonando l’uomo (microcosmo) alla natura (macrocosmo), più precisamente associando l’uomo ad un Albero.
L’uomo, come l’albero, nasce e trae il suo nutrimento dalla terra e ancora più in profondità, trovandovi l’energia per sollevarsi, rafforzarsi, stagliarsi ed aprirsi verso la luce, verso l’alto. Un ponte verticale, frutto dell’equilibrio, tra ciò che sta sopra ed è puro e liberato dall’ego da ciò che sta sotto che è grezzo e sotto il dominio dell’ego e dell’emotività.
Nello Yoga, infatti, l’albero è l’immagine stessa delle qualità che un individuo dovrebbe sviluppare per raggiungere l’illuminazione. L’immagine dell’albero viene vissuta anche attraverso un asana (Vrksasana), ovvero una posizione, che rappresenta l’equilibrio sia in senso fisico, sviluppando forza, flessibilità e adattabilità (caratteri imprescindibili all’evoluzione), che “sottile” o spirituale per il fatto di essere una posizione polare, ovvero che lavora sull’aspetto femminile, lunare, yin e su quello maschile, solare, yang.
Cosa succede se invertiamo questo processo?
Gli Asana di inversione, ovvero le posizioni “a testa in giù”, lavorano simultaneamente su due piani:
- dal punto di vista fisico interrompiamo un processo d’invecchiamento riportando gli organi interni, che con gli anni tendono a prolassare verso il basso, nuovamente nella loro collocazione corretta;
- dal punto di vista psicologico interrompiamo il flusso di pensieri, il chiacchiericcio legato all’ego e alle questioni più materiali, per portare silenzio e sincronizzarci su di un piano di ascolto più profondo, diretto verso l’inconscio.
Parlando in termini esoterici, le inversioni rappresentano il dirigere la propria coscienza verso le acque profonde del proprio Io, un processo doloroso e distruttivo tuttavia essenziale alla ricostruzione corretta di noi stessi.
Proprio come la Natura si lascia morire per rinascere più vigorosa dai propri scarti, così la nostra coscienza deve morire nel marciume della nostra emotività per rinascere più forte e consapevole. Questo non può che portarmi alla mente la correlazione di due immagini molto simili tra di loro sia nella loro costruzione che nel loro simbolismo: Adho Mukha Svanasana (la posizione dell’albero a testa in giù) e il tarocco dell’Appeso.
L’Appeso rappresenta, a livello simbolico, la Conoscenza che non è possibile fare propria attraverso studio e pratica, ma che viene conseguita per mezzo dell’abbandono totale a sé stessi, cioè dai propri legami emotivi e materiali e anche attraverso la perdita “di” se stessi, della propria morale, dei propri ideali, di tutto quello in cui ci riconosciamo, uscendo dalla nostra zona di comfort.
E’ l’essere gettati con forza a testa in giù dentro un abisso d’incertezza.
Il corpo penzola nel vuoto fra le colonne Jachin e Boaz, i due pilastri dell’albero della vita in mezzo alla quale si trova la via Reale, l’equilibrio.
Nel “Libro di Thoth” di Aleister Crowley leggiamo:
“…Esso è abbandonato ma ancora legato con le mani dietro la schiena, che gli impediscono di liberarsi ed agire perché l’anima liberata sfugge ormai la realtà della materia. L’impiccato ha scoperto che il segreto per penetrare l’essenza delle cose sta nel loro capovolgimento, nell’inversione di prospettiva, nell’abbandono dei comuni schemi mentali attraverso l’esperienza della solitudine e del dolore, scaturisce l’idea chiara e illuminante presupposto per l’accettazione e la trasformazione di sé”
La stessa posizione rimanda, inoltre, a due momenti importanti della vita iniziatica di un Adepto:
- “Il sonno di Siloam”, dove l’aspirante ai segreti della conoscenza veniva posto per tre giorni e tre notti in una cripta situata in un tempio sotterraneo. Durante questo periodo si produceva uno stato di trance da cui si veniva risvegliati con la luce del sorgere del Sole che batteva direttamente sul viso;
- “L’Oscura Notte dell’Anima” ovvero un’ordalia presente in tutte le tradizioni in cui l’iniziato attraversa un momento di profonda crisi e perdita totale della propria fede e delle proprie certezze. Un’agonia dove “nulla” è l’unico aggettivo per poter descrivere lo stato emotivo in cui si è proiettati. Totalmente anestetizzati non si prova, non si riconosce e non ci si riconosce più in niente.
Si è totalmente smarriti in sé stessi fino a quando, nel silenzio della desolazione più profonda, non si avverte nuovamente la fievole luce della propria Coscienza Superiore (Dio), ed è verso quella che ha inizio la propria risalita.
“Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me”
(Davide – Salmo 23,4)
L’Albero: un simbolo potente
Non tutti sanno che nella tradizione ebraica gli alberi presenti nel paradiso terrestre sono due:
- l’albero della Conoscenza, che avrebbe portato l’essere umano verso la propria caduta e più noto alla tradizione occidentale contemporanea;
- l’albero della vita che permetterebbe la risalita alla situazione primigenia legando l’uomo a Dio. L’accesso a quest’ultimo non è però semplice: due Cherubini con spade di fuoco ne controllano l’ingresso e, solamente trovando in sé la capacità di superarli, l’uomo potrà salire fino al divino.
Non abbiate dunque il timore di lasciarvi andare, perdetevi e ritrovatevi.
Vi auguro di trovare il coraggio d’immergervi nell’introspezione che questo periodo dell’anno porta e di ritrovarvi rinati il prossimo anno.