Sia benedetto Colui che ha messo nel cielo i Segni dello Zodiaco, ha messo nel cielo una Lampada e una Luna brillante”
Sura del Discernimento, (XXV, 62)
Giove, simbolo di espansione e insegnamento, stava transitando nel suo domicilio in Sagittario quando il 30 Luglio del 762, sulla base di calcoli astrologici, venne fondata la città di Baghdad per volere del califfo al-Mansur. Insieme a Damasco, Il Cairo e Cordoba, la capitale degli Abbasidi sarebbe diventata uno dei maggiori templi della conoscenza di tutte le scienze note nel mondo medievale, non ultima la ‘ilm al-nujūm, la scienza delle stelle.
Lo studio e la codificazione dell’astronomia e dell’astrologia compiuti dagli Arabi tra il X e il XIII secolo furono il risultato di un’elaborazione sincretica che prese le mosse dal recupero della tradizione ellenistica, nella quale dominava l’auctoritas di Claudio Tolomeo, attraverso un’intensa attività di traduzione dal greco all’arabo.
Inoltre, l’espansione politica dell’impero islamico, che giunse ad abbracciare un territorio vastissimo dall’Andalusia alla Persia, favorì la confluenza di elementi della scuola persiana e della scuola indiana (dove erano già state assimilate le nozioni astronomiche dei babilonesi e dei greci), cui si aggiunse l’apporto di comunità locali in Siria e Mesopotamia, come i Sabei di Harran, eredi dello gnosticismo egiziano e della tradizione babilonese.
Sarebbe impossibile menzionare in poche righe la folta schiera di studiosi arabi che con le loro scoperte e invenzioni diedero lustro all’arte di Urania ed esercitarono un grande impatto anche nel Medioevo cristiano. Ci limitiamo comunque a ricordare alcuni nomi illustri come:
- Abū Maʼšar (latinizzato Albumasar, 787-886), autore del Kitāb al-mudhkal al-kabīr (Liber introductorii maioris a scientiam iudiciorum astrorum, Grande introduzione alla scienza dell’astrologia);
- Māshā’allāh Ibn Atharī, (Messala, 740-815 ca.), uno degli astrologi che partecipò ai calcoli per la fondazione di Baghdad;
- Al- Kindī (800-873), il “filosofo degli Arabi”, il primo a trattare l’astrologia sotto un profilo metafisico e autore del trattato di astrologia e magia naturale ‘Ala al-aš‘a (De Radiis, Sui raggi);
- Al Farġāni (Alfargani, 805-880), autore di Kitāb fī al-harakāt al-samawiya (Elementa astronomica, Elementi di astronomia) di cui il nostro Dante sarà debitore per la descrizione dell’universo nel Convivio e nella Vita Nova;
- il persiano Al Bīrūnī (973-1048) autore del Kitāb al-tafhīm (Libro delle istruzioni sui principi dell’arte dell’astrologia), in cui confluiscono elementi della scuola greca, persiana e indiana.
Celebre è l’aneddoto che riguarda il cairota Ibn Yunus (950-1009), autore delle Tavole Hakemite. Pare che, avendo previsto il giorno della sua morte con sconcertante precisione, si fosse isolato in casa a recitare le sure del Corano, finché il momento della sua fine terrena non sopraggiunse con puntualità secondo i suoi calcoli.
Il “dono delle stelle”
Astronomia e astrologia rappresentavano due campi di indagine distinti e complementari della stessa materia di studio, la tanjīm, ovvero l‘osservazione degli astri. Il termine munajjim, o najjām, indicava invariabilmente l’astronomo e l’astrologo.
Lo studio della struttura visibile dei cieli e dei suoi fenomeni misurabili era l’ambito della ‘ilm al- hay’a, la “scienza dell’apparenza”, dove ‘ilm ha significato generale di “conoscenza” e di “scienza” sperimentabile. Lo studio degli effetti dei moti celesti sulla vita materiale, più orientato alla congettura e affinato dall’intuizione, era invece espresso dalla locuzione ṣinā‘at aḥkām al-nujūm, letteramente “arte dei decreti delle stelle” in cui ṣinā‘at indica “arte” nel senso di “perizia artigianale”, laddove il termine aḥkām (plurale di ḥukm) afferisce alla dimensione giuridica e designa un “verdetto finale” o una “sentenza” emessa da un giudice.
Jābir ibn Ḥayyān, (latinizzato in Geber), il più noto alchimista medievale, spiega il significato essenziale dei due settori disciplinari:
«[’ilm al-hay’a] è una parte della scienza delle stelle (’ilm al-nujūm). L’astronomia invero è la descrizione della forma del cielo e di ciò che contiene,
mentre l’astrologia è il dono delle stelle»(1)
In conclusione…
È innegabile il ruolo assunto dagli Arabi come continuatori e innovatori della ricerca astrologica sulla scorta del recupero della tradizione ellenistica e delle conoscenze delle scuole indiane e persiane. L’infaticabile opera di conservazione e rivalutazione consentì, inoltre, la trasmissione all’Occidente del patrimonio culturale dell’antica Grecia ed evitò che l’eredità astrologica ellenistica, forte degli sviluppi ulteriori delle altre scuole, potesse cadere in un imperdonabile oblio.
Bibliografia:
-
Renzo Baldini, Trattato tecnico di Astrologia, 2011, Hoepli.
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Dizionario del Corano, a cura di M. A. Amir-Moezzi, 2007, Mondadori.
-
René Guenon, Scritti sull’esoterismo islamico e il Taoismo, 1993, Adelphi.
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Giuseppe Bezza, Caratteri propri ed acquisiti dell’astrologia araba, (articolo contenuto in: http://www.cieloeterra.it/articoli.araba/astrologiaaraba.html)
(1) Kitāb al-Baḥṯ, citato da F. Sezgin, Geschichte des arabischen Schriftums, Band VII, Astrologie-Meteorologie und Verwandtes bis ca. 430 H., Leiden 1979, pag. 109, citato da G. Bezza Caratteri propri ed acquisiti dell’astrologia araba, in:
http://www.cieloeterra.it/articoli.araba/astrologiaaraba.html